venerdì 16 luglio 2010

Deja vù



Una scena già vista
Il fenomeno del deja vù


Immaginate che, proprio ora, mentre leggete queste righe, vi capiti la sensazione chiara, netta, precisa, di aver già vissuto questo momento. Solitamente, in questo genere di situazioni, ci si chiede se si è sognata precedentemente la scena, si analizza la situazione per capire se è simile in qualcosa ad un altro momento, ma poi si finisce col rendersi conto che tutti i dettagli della scena sono riconducibili ad un unico preciso momento che si ha la sensazione di aver già vissuto e mentre la scena svanisce, restiamo perplessi e ci interroghiamo a riguardo, nella consapevolezza che la nostra percezione non corrisponde ad alcun ricordo effettivo. Questa situazione è riconducibile al fenomeno, conosciuto sin dai tempi antichi e definito per la prima volta solo nel 1876 col termine di “deja vù” ( gia visto); per molti anni il mondo delle neuroscienze, della psicologia e della psichiatria ha cercato di indagare e spiegare tale fenomeno e periodicamente sono state prodotte varie teorie e spiegazioni del “deja vù” che ha comunque suscitato l’interesse anche di antichi e odierni filosofi, scrittori e poeti. Il dejà-vu è un mistero di cui in molti facciamo esperienza nella vita, ma questa esperienza non si presenta solo sotto forma di “già visto”, (tanto che infatti sembrerebbe essere presente anche in persone non vedenti), ma anche come un “già esperito”: si tocca un oggetto, si avverte un suono o una frase, si gusta un sapore o si percepisce un odore e si ha l’impressione che ciò sia già avvenuto. Alan Brown, psicologo della Southern Methodist University (Dallas) e autore del libro The Déjà-vu Experience (Psycologie Press) riferisce che il fenomeno non si manifesta nei bambini, perché occorre un certo sviluppo a livello cerebrale; infatti comincia ad apparire negli adolescenti e negli adulti, soprattutto quando sono stanchi e stressati. Da un sondaggio sul fenomeno del déjà vu, realizzato in Italia dall'Associazione “Dal tramonto all'alba” risulta che: Il 92% delle persone sostengono di aver avuto un'esperienza del genere, ma non a tutti ha fatto piacere. Per il 67% del campione sono i luoghi fisici a stimolare l'insorgere del déjà vu. Percorrere strade, entrare in locali, attraversare piazze di città straniere, provoca la sensazione di avere già vissuto questa esperienza. Molto più rari sono l'incontro con una persona e la sensazione di un'emozione. Per il 58% l'elemento scatenante è determinato da una sensazione o un insieme di circostanze. Non sempre è sufficiente un odore, un'immagine o l'ascolto di una canzone. Il 68% delle persone considera il déjà vu un fenomeno paranormale, legato a ricordi di vite passate. Per il resto degli intervistati è invece soltanto un trabocchetto della memoria. L'esperienza del déjà vu è accompagnata da un forte senso di familiarità e da un senso di stranezza e misteriosità. Il 43% degli intervistati ha dichiarato di aver provato una sensazione di piacere, mentre il 41% ne è rimasto turbato. Una delle prime spiegazioni scientifiche di questo affascinante fenomeno, risale al 1844, quando il medico inglese Arthur Ladbroke Wigan avanzò l’ipotesi per cui il cervello, avendo natura simmetrica, al pari di altri organi doppi, quali i polmoni o i reni, può talvolta far pervenire gli stessi stimoli in forma sfasata a causa della mancata sincronizzazione degli emisferi cerebrali, uno dei quali percepirebbe inconsciamente la scena prima dell’altro, così che il secondo la considererebbe quale ricordo della percezione in atto. Da allora molte sono le ipotesi fatte, fino ad arrivare ai giorni nostri, ad un recentissimo studio diretto dal Nobel per la Medicina (nel 1987) Susumu Tonegawa (del Massachusetts Institute of Technology a Boston e pubblicato sulla rivista Science), i cui risultati sembrano suggerire che alla base del dejà-vù ci sia un meccanismo mnemonico precisamente predisposto a farci distinguere luoghi e situazioni simili ma non identiche tra loro; in una zona del cervello, precisamente in una regione dell’ippocampo si crea quasi una sorta di «stampa fotografica» di ogni luogo visitato, utile per riconoscere al volo differenze tra luoghi simili e sapere subito dove ci troviamo. Se questo meccanismo per distinguere luoghi simili «entra in confusione», viene ipotizzato, si avverte la sensazione di essere già stati in un luogo in realtà per noi nuovo. Il meccanismo neuronale identificato coinvolge il giro dentato, una subregione dell’ippocampo addetta alla memoria, e agisce «riconoscendo rapidamente e amplificando le differenze, anche piccole, che rendono ciascun luogo unico».
I risultati della ricerca sembrano essere molto interessanti non solo perché possono permettere di spiegare il fenomeno del “deja vù”, ma soprattutto perchè sembrano offrire nuovi ed interessanti spunti sulla memoria episodica e potrebbero servire a mettere a punto terapie mirate per chi ha problemi di apprendimento o disordini comportamentali oltre che per quegli anziani che vanno incontro a confusione, disorientamento e demenza senile.
Per il resto, c’è da dire che il fenomeno del deja vù non è sufficiente a spiegare il sempre più frequente ripetersi di scenari politici non soddisfacenti, questo, purtroppo, è un fenomeno che riguarda il nostro paese e non la nostra testa!

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