giovedì 9 settembre 2010

Crisi e possibilità


Ho deciso di dedicare un pò di spazio all'argomento "crisi", una parola che abbonda e dilaga oramai...e a volte avverto un certo fastidio per quello che avviene a livello collettivo e che assomiglia molto a ciò che talvolta accade a livello individuale: si è così presi dalla crisi e dal crogiolarsi nel proprio dramma personale che si finisce col non guardare a ciò che va bene e a tutto ciò che si potrebbe fare perchè le cose andassero meglio o per lo meno per evitare il peggio...e si rimane inermi e lamentosi, inutilmente distruttivi o autodistruttivi. E sicuramente anche questo serve, ma non può essere uno stato permanente! A volte poi non si vuol guardare in faccia la realtà, a volte la crisi fa comodo ( oramai parlare di crisi è un business!), altre volte ancora non si è semplicemente capaci di chiedere aiuto. E poi, se pure è vero che talvolta viene da pensare che questo sia un brutto mondo, che sia un brutto momento...siamo qui...e conviene giocarsela questa partita, al meglio delle proprie possibilità!Inizio da questo primo post a parlare di crisi..credo ne scriverò altri procedendo, per così dire, per settori: crisi e lavoro, crisi e relazioni, ecc.



In questi giorni una parola è spesso presente nei titoli e negli articoli di giornale, nelle trasmissioni televisive, nei discorsi degli intellettuali e della gente per strada: crisi, una condizione, un momento difficile, che quanto mai in questo periodo storico sembra appartenere a tutti e suscitare allarme e stupore.

Ma, d’altronde, allarme e stupore fanno parte di qualsiasi crisi, individuale o collettiva, e la crisi fa parte di ogni vita, di ogni società, di ogni individuo. A livello sociale, quale epoca, quale società non ha attraversato una crisi? Molte società definibili come progredite, in vari momenti storici, hanno attraversato momenti di crisi economica, di alta conflittualità, di povertà e malattia, di progresso e poi di regresso; società definibili come meno evolute, ma stabilmente costituite, hanno anch’esse subìto grandi crisi, fino alla crisi finale, quella che le ha viste soccombere sotto la prepotenza e l’invasione di popolazioni straniere.
E, a livello individuale, chi, davanti ad un evento negativo inatteso, davanti ad una situazione di radicale e improvviso cambiamento o al permanere di un prolungato disagio, non si ritrova ad attraversare una crisi? Crisi della terza età, crisi del settimo anno di matrimonio, crisi adolescenziale, crisi depressiva, crisi d’amore, crisi finanziaria, crisi lavorativa; e potrei continuare. La crisi è spesso legata a momenti di passaggio o al contrario al perdurare di situazioni che, dopo un periodo più o meno lungo, “vanno in crisi” e precipitano. Ci si ritrova spiazzati, con un senso di impotenza e spaesamento, paure, ansie che si confondono a speranze che stentano a farsi largo fra le mille previsioni catastrofiche.

E poi c’è anche la crisi come condizione di vita, una crisi costante, perenne: non solo un momento, ma una condizione duratura che caratterizza molte vite, molte società. Come non definire critica, ad esempio, la situazione di società perennemente in guerra? O quella di bambini che vivono tra le baracche, per strada, senza adulti e contesti di riferimento? Ed ancora, come non definire critica la vita di chi vive, senza riuscire a uscirne o senza poterne o volerne uscire, una condizione di malattia fisica o psichica?

Tuttavia la parola crisi, se pure viene spesso utilizzata come parola negativa, non ha di per sé una connotazione negativa, come ho già detto essa è una condizione, una fase, uno stato momentaneo che racchiude in sé molte possibilità, anche positive. A definire la crisi, sia quella dell’individuo che della società, concorrono molti fattori: soggettivi, culturali, ambientali, materiali ed anche politici, oserei dire. Solo per fare alcuni esempi: ciò che viene definito crisi da un individuo non è definito tale da un altro; ciò che è crisi in una cultura assume un altro significato in un’altra; la crisi finanziaria del grande imprenditore è ben diversa da quella dell’operaio in cassa integrazione; la delusione per una storia d’amore finita male non ha nulla a che fare con una condizione di depressione conclamata; parlare di crisi può essere politicamente opportuno per alcune fazioni, meno per altre, e talvolta può essere strumentalizzato; le crisi economiche sono spesso legate a panorami politici in crisi; un cambiamento in positivo, una situazione che si è sempre desiderata, ad esempio il successo, può cambiare la vita ed essere meravigliosa per alcuni, insostenibile per altri.
Comunque, che ci piaccia o meno la crisi ci appartiene, dove c’è vita c’è crisi, verrebbe da dire; la crisi, periodicamente, si acuisce, sembra esaurirsi e poi torna, è una condizione fisiologica dello sviluppo dell’individuo, della società, dell’ambiente. Nella crisi, l’individuo e la società possono perdersi o ritrovarsi, dipende dal modo in cui essa viene sentita, consapevolizzata e affrontata. Spesso si sente dire che bisogna lottare contro la crisi; io credo più corretto affermare che la crisi vada affrontata, non combattuta. Se rifiutare di accettare un’oggettiva condizione di crisi può essere controproducente, lottare a tutti i costi per superare la crisi a volte può servire ma, tante altre volte, può solo rendere più deboli. Invece, comprendere la propria crisi, osservarla da vicino, accettarla, attraversarla e giocare con essa, può essere una buona strategia.
La crisi è inevitabile, non necessariamente può e deve essere deleteria; deleterio può essere non saper “giocare” con la crisi. Se come ho detto allarme e stupore sono reazioni oltremodo normali alla condizione di crisi, è necessario comprendere come non farsi soverchiare da tali sensazioni, ma dirigerle verso azioni o inerzie costruttive. La paura, il senso di “paralisi” o, di contro, di disperata iperattività, che talvolta aggrediscono gli individui o le società in crisi, non vanno né ignorati né soppressi, ma ascoltati. Anche da un punto di vista evolutivo, le emozioni negative hanno avuto ed hanno la funzione di allarme; avvertire emozioni negative, significa percepire che esiste un pericolo, una situazione potenzialmente dannosa.

Il fatto che esista un potenziale pericolo, non significa necessariamente che il pericolo debba farci soccombere, piuttosto che esiste una situazione da cambiare e che si ha bisogno di identificare le risorse di cui si è in possesso o che bisogna reperire per attuare il cambiamento. Se ci si ritrova in una condizione critica, fuggire dalla realtà non ha molto senso; sensato è, se mai, fuggire non da, ma verso una nuova realtà, proprio come ci spiega poeticamente il biologo francese Laborit (2000), nel suo “Elogio della fuga”: “quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (…) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga spesso, quando si è lontani dalla costa, è il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione”.
Non si tratta di una fuga per evitare responsabilità o di una fuga per lasciarsi tutto alle spalle, la fuga di cui si parla qui è una fuga dal pericolo di non vivere lasciandosi vivere dagli eventi, senza scegliere. Non c'e rotta senza imprevisti e non c'è viaggio che non comporti un certo grado di fatica, ma ne vale la pena.

4 commenti:

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  2. se i lavoratori subiscono ricatti sul lavoro, lo devono ha tutte le categorie sindacali, che hanno fatto sempre l'interesse del padrone.
    la colpa più grande? avere diviso i lavoratori, per potere discutere separatamente,i contratti, creando fratture,nel mondo del lavoro.
    le battaglie si vincono uniti, e grazie al sindacato che ne ha indebolito la catena, intaccandone gli anelli, l'egoismo ha preso il sopravvento. il salario degli operai e differente da una categoria a l'altra, mentre il costo della vita è per tutti lo stesso, si indicono scioperi sindacali che non vengono appoggiati dalle altre categorie, perdendo forza contrattuale. quando i lavoratori arriveranno a capire, che l'unione (in tutto anche nei salari) fa la forza, lo capiranno anche i padroni, e la musica sarà più intonata. NESSUNO1°

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  3. Cosè che differenzia l’uomo da gli ANIMALI, da persona ignorante mi sono posto spesso questà domanda, arrivando alla triste conclusione, che è meglio, non pronununciarmi, per non offendere nessuno. Dopo varie riflessioni sono arrivato a capire, che se non cominciamo ha disconoscere, tutto ciò che divide, vedi i partiti, che creano spaccature col sogno di falsi ideali, con lunico intento, di creare confusione per il raggiungimento dei loro obbiettivi. Se ci guardiamo intorno , tirando le conclusioni, la verità appare nella sua concretezza. Il regno ANIMALE si differenzia dal nostro mondo, perché privo d’ipocrisia, d’egoismo, e sete di onnipotenza. ha differenza de l’essere umano, è guidato da l’istinto della NATURA. E la differenza, e ben visibile, non ci sono appartenenti alla stessa razza, che primeggiano, ha danno dei suoi simili. la differenza che esiste frà gli esseri umani guidati da l’ipocrisia madre di tutti i mali, è esattamente l’opposto. Lascio il tutto al vostro giudizio. NESSUNO1°

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  4. Non so quanto ciò che dici sia inerente a quanto scritto da me, comunque grazie di essere passato da queste parti...

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