venerdì 22 ottobre 2010

La crisi: storia, società,economia e natura umana.


La vita ha un suo corso: un inizio, una fase centrale ed una fine. La psicologia del ciclo di vita è quella branca della psicologia che tenta di correlare il punto in cui un individuo si trova nel corso della sua vita con il tipo di compiti che quella persona è chiamata a fronteggiare e con il tipo di risorse che ha a disposizione per affrontare questi compiti; ed infine, con il tipo di disturbo che l’individuo potrebbe sviluppare qualora non riuscisse a fronteggiare adeguatamente queste sfide. Se trasferiamo gli assunti della psicologia del ciclo di vita sulla società, viene da considerare che anche la società ha i suoi momenti di sviluppo, di arresto, di declino e, nello svolgersi di “corsi e ricorsi storici”, nel tempo, è ovvio che si sviluppino anche fisiologici momenti di crisi. Avvalendomi di una serie di contributi teorici, qui di seguito cercherò di “disegnare” una sorta di mappa su cui tracciare e rintracciare uno degli ipotetici percorsi che vede, sulla stessa strada, crisi, storia, società, economia.

Tempo fa, al Festival dell'Economia si sono incontrati a Trento tre premi Nobel (George Akerlof, James Heckman e Michael Spence) per fare il punto su "Identità e crisi globale".
Una delle tesi più interessanti emersa dalle parole di Akerlof in questa circostanza, è quella che decreta il fallimento dell’idea che le persone, e dunque l’economia così come la sua crisi attuale, siano mosse da motivazioni soltanto economiche perseguite razionalmente: «è soltanto analizzando il ruolo degli spiriti animali e la loro influenza sulle decisioni economiche – spiega l’economista californiano – che possiamo spiegarci perché le economie cadono in recessione, le banche hanno potere sull’economia, le persone non trovano lavoro, nel lungo periodo sussiste una relazione inversa tra inflazione e disoccupazione, risparmiare per il futuro è così arbitrario, i prezzi finanziari e gli investimenti societari sono così volatili, i mercati immobiliari attraversano cicli e perché nelle minoranze svantaggiate la povertà persiste per generazioni»( Akerloff, Shiller, 2009).

L’ottimismo, il senso della giustizia, la corruzione e la malafede, l’illusione del denaro, le bugie che raccontiamo a noi stessi e agli altri: secondo George Akerlof, l’economia ruota attorno a quelli che, rifacendosi a John Mainard Keynes, chiama gli «spiriti animali», le energie mentali di base (oggi riconosciute come fattori economici) che muovono le azioni degli individui. Sono gli «animal spirits» che costruiscono la psicologia degli individui, e sono perciò questi spiriti animali le categorie da utilizzare per costruire una nuova teoria economica, un nuovo manuale capace di spiegare perché l’economia mondiale è precipitata. Secondo il premio Nobel (2001), gli individui si sono mossi fidandosi della bontà del sistema, migliaia di risparmiatori hanno investito i propri soldi in titoli spazzatura, il capitalismo ha approfittato dell’eccesso di fiducia finendo per produrre ciò che la gente credeva gli serva, fosse magari anche l’olio miracoloso di serpente. Ma cosa succede quando la fiducia viene meno? Accade che la crisi di fiducia diventa crisi del credito. La storia dell’economia ha vissuto molti cicli di fiducia data e poi ritirata, solo che gli economisti classici, quelli che hanno sempre creduto nell’autoregolamentazione del libero mercato capitalistico, la crisi non l’hanno per nulla prevista. Un altro parere rilevante mi sembra quello di Giovanni Sartori, in un suo editoriale sul Corriere della Sera; secondo Sartori la ricchezza prodotta dalla società preindustriale fu ricchezza da consumare (in palazzi, chiese, e, s'intende, bella vita per i pochissimi che ne disponevano), non ricchezza da accumulare per investimento, e quindi ricchezza in danaro da investire nel processo economico.

Pertanto fino alla rivoluzione industriale l'uomo è vissuto in grande povertà. Il tepore del benessere si affacciò, nel contesto dello Stato territoriale nel suo complesso, soltanto nel corso dell'Ottocento. Ma sino al Novecento, talvolta inoltrato, l'uomo occidentale non ha conosciuto la società opulenta, la cosiddetta società del benessere.
Ed ancora: “homo bulla est” sostengono alcuni, nella convinzione che periodicamente si creino delle bolle economiche di speculazione, manie, mode, interessi, investimenti non ben ponderati o volutamente e colposamente esagerati, che creano un impareggiabile aumento dei prezzi e delle “bolle irrazionali” pronte a scoppiare da un momento all’altro e a creare crisi, una volta che questi prezzi sono crollati. Bolle o non bolle, fattori razionali e irrazionali, coesistono nel creare un normale andamento della vita di ognuno, come nella vita della società. Personalmente ritengo che ci si stupisce della crisi perché siamo sempre più una società degli estremi, una società che propende o tutta per il razionale o tutta per l’irrazionale, tendiamo sempre a scindere e le scissioni hanno il loro prezzo da pagare. E così arriva la crisi e prende tutti alla sprovvista, o quasi. Come se non fosse naturale, come se non fosse, per certi versi, prevedibile o ipotizzabile. Eppure la crisi è naturale, fisiologica. Certo star lì ad aspettarsi la crisi da un momento all’altro, non può essere una previsione rassicurante ( se mai paralizzante) per nessuna società, ma considerare che la crisi “ fa parte del gioco” può forse aiutare a viverla più serenamente e adeguatamente quando si verifica. Si può star lì a cercare i motivi della crisi, ad analizzarla, a cercarne le origini, e forse, e sottolineo forse, si troveranno queste ragioni, o almeno si sarà convinti di averle trovate.

Ma forse si sarà trovata solo una chiave di lettura delle crisi, una chiave fondata (perché è ovvio che la crisi è il risultato di comportamenti, di intrecci socio-politici-culturali e dell’imponderabile) magari, ma che non può darci nessuna certezza in più se non quella che della crisi non possiamo sorprenderci perché fa parte della natura umana dell’uomo e della società.
Quando si vanno a fare i paragoni con l’attuale crisi economica e finanziaria, cercando di trovare nelle epoche passate eventi con caratteristiche simili, spesso si dimenticano fatti economici molto lontani dai giorni nostri, con l’erronea convinzione che un intervallo così lungo nel tempo non possa essere comparato, specie se si tratta di materie che si sono così evolute, come l’economia.
Vediamo invece assieme, un po’ più nel dettaglio, cosa intendiamo per crisi. Il termine crisi, cosa ci richiama alla memoria? Ingenuamente, si può considerare una “crisi” come uno scadimento di valori, ma sarebbe una definizione che presuppone troppo di indimostrato e di non molto fruibile in ambito scientifico.
Parlare di “crisi” significa, in prospettiva storica, constatare e cercare di comprendere una trasformazione. La storia altro non è, in realtà, che storia delle trasformazioni: sono le crisi a muoverla, crisi ora particolari e ora generali.

Tuttavia, tale movimento passa dall’implicito all’esplicito della storiografia nel momento in cui la trasformazione coinvolge una larga parte degli elementi che compongono l’assetto dell’esistente, quando i mutamenti si addensano in un determinato periodo, quando cioè la fisiologica trasformazione conosce un’accelerazione. L’equilibrio esistente si rompe per lasciare posto a un’altra forma di staticità. Anche tale nuova staticità, però, non sarà di certo assoluta, ma solamente vedrà la conservazione dei rapporti che intercorrono tra determinati elementi.
L’italiano “crisi” è una parola dotta, derivante dal greco κρίσις e dal corrispondente latino crisis. Il lemma greco ha la stessa radice del verbo κρίνω, derivante dall’indeuropeo*(s)q(e)rei, da cui ha origine anche il latino cerno: entrambe le voci, greca e latina, mantengono il significato di “distinguere, separare” e quindi “scegliere”. In greco la storia del sostantivo si dipana in numerosi significati: da “scelta” si passa facilmente a “giudizio”, a “condanna” e infine a “esito, risoluzione, evento”. Ma muove anche verso il suggestivo significato di “spiegazione, interpretazione dei sogni” che ha nel testo della Bibbia dei Settanta, la traduzione in greco dell’Antico Testamento che veniva giudicata ispirata tanto quanto il testo ebraico. In latino il sostantivo giunge dal greco con la sola accezione medica. ( Rachetta, 2008).
Passiamo ora, al di là delle definizioni, passiamo a vedere in che modo la storia può “raccontarci” la storia.

Iniziamo.

Come non citare la crisi della pólis greca, avvenuta tra V e IV secolo a.C. ? Punto di snodo centrale di tale vicenda è la fine della guerra del Peloponneso, con la vittoria di Sparta e della Lega peloponnesiaca e la sconfitta di Atene (404 a. C.). Atene e Sparta non erano soltanto due città nemiche, ma rappresentavano modelli diversi di società, di economia, di cultura. I fenomeni che appaiono intensissimi e dirompenti nel IV secolo erano già presenti, perlomeno in nuce, nel V. Questi secoli vedono la fine del modello di società oplitico-contadina a vantaggio di una struttura più diversificata, meno omogenea ma allo stesso tempo politicamente più livellata, che rappresenta l’esito di conflitti tra i contadini e il resto della popolazione propri del V secolo, anche se entrano in gioco nuovi attori, in particolare i mercanti stranieri o i mercenari, sempre più numerosi. Esistono dunque ormai anche interessi esterni alla comunità, ma internamente la partecipazione alla vita politica diminuisce. Nascono le banche private, che vengono a contrapporsi all’attività dei templi, pubblici in quanto sacri. E’ l’epoca di Socrate e poi a seguire di Platone, di Aristotele; e sono proprio questi grandi pensatori a farsi portavoce della crisi, prima, e del bisogno di rinnovamento e del cambiamento avvenuto, poi. Facciamo un salto temporale, arriviamo al medioevo, nella Firenze del’300, quando tra il 1343 e il 1346, i Bardi e i Peruzzi, due delle più importanti famiglie di banchieri fiorentini, furono letteralmente travolti da un’ambigua storia di mutui. Già sette secoli fa esisteva ed era ben attivo un certo capitalismo d’assalto, il quale aveva concesso ingenti prestiti ad altissimo rischio senza troppo preoccuparsi delle conseguenze: si trattava di speculazioni simili a quelle sui subprime dell’attuale crisi. E le conseguenze ricalcano fedelmente quelle odierne; infatti, la crisi causò l’insolvenza dei debitori e numerosi fallimenti nel sistema finanziario (ciò voleva dire la fine del credito e la conseguente crisi dell’economia reale).

I principali protagonisti di queste vicende furono due famiglie: la famiglia dei Bardi (il cui parente più illustre era stato Bartolo, il quale aveva ricoperto la carica di priore di Firenze nel 1282) e la più spregiudicata famiglia dei Peruzzi (54 antenati erano stati priori e il loro ingresso nella società fiorentina risaliva al 1100). Sullo sfondo possiamo inserire come protagonista anche Edoardo III d’Inghilterra (la sua brama bellicosa richiedeva somme sempre più ingenti di denaro da ricercare e queste richieste potevano essere soddisfatte dalle due famiglie, le quali maneggiavano da sempre forti doti di capitale); questi fu fondatore dell’Ordine della Giarrettiera e ritenuto uno dei principali responsabili della Guerra dei Cent’anni. Nell’epoca in cui Firenze era considerata la vera e propria “Banca Centrale Europea”, nel 1312 i Bardi e i Peruzzi riuscirono a colmare il vuoto lasciato da un’altra importante famiglia, quella dei Frescobaldi; secondo le cronache dell’epoca, la sola famiglia dei Bardi nel ‘300 poteva vantare il possesso di ben 25 filiali, in Italia e all’estero i cui avamposti principali erano Tunisi, Parigi, Costantinopoli e Siviglia che divennero ben presto una multinazionale dei capitali a prestito, con l’intento di finanziare le guerre di Edoardo III. I Peruzzi, dal canto loro, misero a frutto un’operazione di concessione di mutui dato che il re garantiva solo con la sua parola e il prestigio di monarca. Le cose andarono bene fino al 1337, ma tutto peggiorò quando l’espansionismo inglese decise di spostarsi a sud; Edoardo cercò di conquistare il trono francese e giunto a Gand si autoproclamò sovrano di Francia: ma si trattava di un grave errore di valutazione, perché il conflitto era tutt’altro che vinto. I Bardi e i Peruzzi vantavano in quel momento ben 125.000 sterline di credito nei confronti del sovrano inglese, una somma davvero enorme per l’epoca. La situazione assunse poi dei toni drammatici: Edoardo rimase invischiato in una guerra infinita e annunciò di non essere in grado di rimborsare i mutui contratti. Fu questo fatto a far precipitare nel fallimento le due famiglie, anche perché gran parte delle somme date in prestito al re erano risparmi affidati in amministrazione fiduciaria dai correntisti, i quali ora pretendevano la restituzione dei capitali, con interessi altissimi. I primi a cedere furono i Peruzzi, i quali dichiararono l’insolvenza e patteggiarono coi creditori dei rimborsi in percentuale, i quali li portarono alla rovina. Anche i Bardi dovettero cedere: dapprima reagirono con calma, ma poi nel corso degli anni successivi persero il controllo. Ordirono un golpe per impossessarsi del governo, ma la congiura fu scoperta e molti di loro esiliati; altri membri della famiglia, invece, presero a coniare moneta falsa. Anche costoro furono scoperti e condannati a morte, evitata con la fuga. Questa vicenda, che può essere considerata la prima crisi dei mutui della storia, vide la morte sul rogo di due funzionari della Zecca e l’inizio di una depressione economica senza precedenti: i traffici commerciali di qualsiasi tipo furono distrutti e il mercato
entrò in confusione.

Passiamo ora alla seconda metà del cinquecento, in Europa. Se provate a digitare su un motore di ricerca internet “crisi dei tulipani”, verrete a conoscenza di una vicenda economica legata a questi splendidi fiori. Tra il cinquecento e il seicento i tulipani suscitano l’interesse dei floricoltori e incontrano il piacere del pubblico; l’Olanda ne esporta in tutto il mondo e questo fiore, diviene sempre più prezioso. Esistono storie dell’epoca che narrano che un mugnaio si sarebbe addirittura privato del suo mulino in cambio di un bulbo di tulipano; insomma, l’Europa intera è attraversata in quegli anni da una sorta di “febbre del tulipano” in seguito alla quale il valore dei fiori cresceva e si iniziavano a fare sempre più incroci, sempre più variazioni; insomma questo splendido fiore è al centro di uni giro economico di speculazione che sfocia però, di lì a breve, in un inevitabile crollo dei prezzi, in una crisi economica e nell’ingolfamento dell Province Olandesi del sistema giudiziario che non fu in grado di gestire l’enorme numero di denunce e liti derivanti dai traffici di tulipani. Una crisi insomma, come dice Galimberti (2002), quella dei tulipani antica e moderna: come svolgimento dei prezzi, come contrapposizione tra avidità e paura, come sorgente di dottrinali dissidi ancor oggi attuali.

E come non nominare la crisi del 1929? un fantasma evocato ogni giorno da qualche mese. Si è detto addirittura che l'attuale crisi supera per dimensioni finanziarie il crollo avvenuto sotto la presidenza Hoover del 1929, ma chi può stabilirlo davvero? Veniamo a tempi ancor più vicini a noi: nella prima metà degli anni 70 furono emessi dalle filiali europee delle banche americane e poi dalle banche europee petrodollari ed eurodollari. Erano il primo esempio di strumenti finanziari che si sottraessero al controllo delle banche centrali. La loro emissione si impose per mettere con urgenza a disposizione degli operatori i capitali necessari per acquistare gli idrocarburi ai nuovi elevati prezzi, originati dalla crisi petrolifera. La liquidità, ristabilitesi condizioni di normalità, fu investita dai Paesi produttori nelle economie occidentali. Rimase sul mercato. Produsse effetti di attrazione, provocando fughe di capitali dalle monete nazionali. Se ne amplificò il volume. Operatori finanziari furono in grado, anche individualmente, di mettere in atto manovre speculative sulle monete dei maggiori Stati europei. Per difendersi fu progettata sin dai primi anni ‘80 la costituzione di una grande area monetaria comune. Il Trattato di Maastricht (1992) costituiva l’Unione europea e dettava la disciplina dell’euro. Nello stesso anno si attuava la piena liberalizzazione dei capitali, anche a breve. L’euro entrava in funzione in modo virtuale l’1.1.1999, come moneta effettivamente circolante l’1.1.2002. L’Ue aveva eliminato i confini interni, e si era impegnata ad attenuare nella maggiore misura possibile i dazi esterni. La Cina, a partire dagli anni 80, è entrata in una fase di forte sviluppo, con effetti di stimolo su economie emergenti collegate. Si costituiva il Wto e si raggiungevano i primi accordi per l’abbattimento dei dazi doganali. La riunificazione della Germania e il crollo dell’Urss e dei regimi collettivisti concorsero al processo di espansione dell’area del mercato. Si ebbe un eccezionale sviluppo del commercio internazionale. La fame di liquidità crebbe a dismisura.

L’euro era stato assoggettato a una disciplina rigida che vincolava la gestione della moneta all’obiettivo della stabilità. Usa e Cina nella gestione delle rispettive monete potevano perseguire obiettivi di sviluppo e di occupazione. Non potevano tuttavia prescindere dagli equilibri fondamentali dei propri bilanci. Il boom economico degli anni ’80 e poi, Nella prima metà degli anni 90 la tecnologia satellitare e quella informatica unificarono di fatto il sistema delle Borse mondiali consentendo di comunicare da un lato all’altro del pianeta in tempo reale, a voce, per immagini, in modo documentale. Il sistema finanziario ne ebbe un ulteriore forte impulso, una crescita esponenziale; e negli ultimi dieci anni, sappiamo bene in prima persona cosa sia avvenuto, grandi speranze, grandi promesse e poi all’improvviso, ma non troppo, una discesa a picco verso la crisi.
Si è detto che l’epoca delle grandi dittature sia finita, ma a parte il fatto che ciò può forse dirsi vero per buona parte del mondo ma non per tutto, c’è forse da dire che soprattutto nell’ultimo ventennio, comunque una grande dittatura si è di certo consolidata e dilaga: quella del dio denaro. Anche il cosiddetto sviluppo globale è cresciuto “innaffiato” dal desiderio di profitto e non di reale e globale sviluppo.

Fermiamoci allora con l’excursus storico e procediamo con ordine, analizzando assieme il concetto di sviluppo di Morin. Le basi della formulazione del concetto sono biologiche: il concetto di sviluppo economico-sociale, sostiene Morin, è l'analogon dello sviluppo biologico. In entrambi i casi, un processo di specializzazione delle cellule (biologiche e sociali) sarebbe alla base dello sviluppo. Tutti i processi di specializzazione cellulare sono anche sede di fenomeni di invecchiamento. Le singole unità dei vari processi possono degenerare, indipendentemente dal progresso dell'insieme; anzi, è proprio il progresso dell'insieme che può fungere da causa degenerativa. Lo sviluppo, in altri termini, sia esso biologico sia esso sociale, opera sempre attraverso vincoli, limiti e regressioni. Se ne deve dedurre - conclude Morin - che, da un punto di vista rigoroso ed epistemologicamente fondato, lo sviluppo non può mai essere una categoria univocamente determinata. Tuttavia, continua Morin, lo scoglio più arduo è collocato altrove: lo sviluppo biologico è necessariamente ripetizione genetica di un ciclo già stato e, perciò, ritorno del e al passato. L'umanesimo occidentale, sostiene Morin, si è incardinato su questi paradigmi, finendo col mitizzarli. Al mito dello sviluppo illimitato è stato invariabilmente associato quello del potere illimitato sulla natura. Non è stata più la libertà a decidere dello sviluppo, bensì il potere dello sviluppo a governare la libertà. Sicché, tanto nei paesi avanzati che in quelli arretrati, le minoranze dominanti, a mezzo dello sviluppo (e del correlato sottosviluppo), hanno edificato ed esteso il loro potere ed organizzato il loro proprio benessere. Il balzo in avanti fatto dalle economie sociali occidentali e dai corrispettivi sistemi e stili di vita recava in sé questo siero velenoso che non ha esitato a dispiegare i suoi effetti nocivi già a partire dagli anni '60. I risultati positivi di breve termine (il ciclo 1945-1965) hanno, ben presto, rivelato la loro fallacia e la loro controfattualità. Negli ultimi quattro decenni, le minoranze dominanti hanno avviato l'umanità verso la catastrofe: fame, povertà, ingiustizia, inquinamento e scarsità di risorse sono già oggi un fenomeno inquietante e massificato. Il risultato è che lo sviluppo, più che arricchirla, ha depredato l'umanità e deturpato irreparabilmente l'ambiente. La falsa infinità dello sviluppo ci porta dritti al cuore della crisi di civiltà che ha afferrato le società avanzate e quelle rette dalla "pianificazione socialista". Aver, per intero, fondato la civiltà sullo sviluppo ha significato, inevitabilmente, spingerla verso una crisi comatosa, una volta che le “sirene sviluppiste” sono state impossibilitate a intonare il loro canto. La crescita, in un certo senso, mitiga il consumismo sfrenato, canalizzando risorse verso i beni capitali. Così, se la caduta dei consumi non genera, di per sé, una crisi della crescita, il decremento del risparmio è tra le cause della caduta degli investimenti e, dunque, della crescita. Ed è qui che la frattura semantica tra sviluppo e crescita diventa crisi sociale dell'accumulazione su base capitalistica.

In questa breve disamina, ho preso in prestito il pensiero di Morin per provare a capire i perché della crisi, le origini, i meccanismi sociali che contribuiscono a crearla. Ribadisco comunque che credo che la crisi se pure può e deve essere studiata e compresa, comunque accade e accadrà; essa è intrinsecamente connessa a quel gioco incredibile di vite che attraversa la storia, quell’otto volante folle ed entusiasmante su cui la vita ci costringe a salire. La crisi è insomma correlata con l’ineluttabilità dello sviluppo, della storia, della natura umana; se guardiamo ai fatti storici citati, possiamo certo dire che la corruzione della polis, l’arroganza dei Bardi, le vedute visionarie e le pretese arriviste ed espansioniste dell’ultimo secolo hanno fatto la crisi, in ogni singolo momento storico. Fatto sta che anche di questo è fatta la natura umana, di arroganza, opportunismo, stoltezza o eccessiva scaltrezza. Quando allora le manie divengono eccessive, le bolle scoppiano, la crisi arriva e le strutture sociali o individuali tracollano, non basta chiedersi perché, ma bisogna agire con strategie alternative, perché le crisi ci appartengono; stupirsi che si manifestino sarebbe coem stupirsi della nostra stessa esistenza. Bisogna pensare nuove strategie creative, non riciclare nuove manie, o seminare o impasticciarsi di illusioni e nuovi deludenti falsi miti.

Per chiudere torno alle parole di uno studioso di economia “Le crisi , insomma, saranno sempre tra voi”. Ed è importante capire allora che cos’è in noi, nel respiro di un homo che è sapiens prima ancor di essere aeconomicus, che ci rende facili prede di un meccanismo denso di esaltazioni e di pericoli […] Ciò non toglie che ci possano essere istituzioni e innovazioni capaci di circoscriverne l’area di rischio, scoraggiare le bolle o attenuarne le conseguenze[…] non possiamo sfuggire alle bolle. Ma forse possiamo fare in modo che scoppino un po’ prima, con meno fragore e meno dolore ( Galimberti, 2002). Appunto allora è importante capire cosa è in noi, quali sono le forze esterne che ci muovono e ci manipolano e quali quelle interne che ci bloccano o ci sostengono. Non credo questo tipo di spiegazioni possa tornare utile a chi non riesce ad arrivare a fine mese, a chi già faticava prima e stenta ora o a chi è passato dalle stelle del lusso alle stalle della crisi, ma credo che il pensare strategie alternative sia altrettanto utile che agirle e deve andare di apri passo. E mentre termino questo post, mi assalgono reminiscenze della tv, la maledetta o meravigliosa tv, ricordi su un servizio televisivo riguardante un “Low impact man”(un uomo che ha deciso di vivere a basso consumo e bassissimo impatto ambientale) e di una parrucchiera che ha consacrato il suo salone al basso impatto ambientale riducendo al minimo l’uso di elettricità e usando solo prodotti naturali, le clienti si portano il proprio shampoo.

Uno shampoo non risolverà la crisi, un paio di esperienze positive che sono affiorate davanti ai miei occhi sullo schermo della tv, non possono farmi ignorare la forza della crisi e la devastazione che essa può provocare, ma comunque volgio dirlo: un altro mondo è possibile, un’altra vita è possibile e se pure, da quanto detto è quanto mai chiaro che anche un'altra crisi è possibile; pensare strategie alternative e creative è un modo per reagire. Ora mi allontanto dalla tv e da questo maledetto/meraviglioso pc e, pensando alla crisi, più che racconti ed esempi mediaticamente filtrati dalla tv, mi vengono in mente le parole di una persona vittima del terremoto che ho conosciuto in uno dei miei interventi in Abruzzo: “non so da dove ripartirò credo riaprtirò dal nulla e dal tutto che mi ritrovo, so solo che se semtto di immaginare di poter andare avanti non ho più strade davanti a me, e invece bisogna farcela”.

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