lunedì 21 marzo 2011

La metafora e l’immaginario: uso, abuso, possibilità


La metafora e l’immaginario: uso, abuso, possibilità

Approfittando della pubblicazione di una recente ricerca, apparsa qualche settimana fa sul Corriere della Sera e realizzata all’Università di Stanford, voglio inaugurare oggi uno spazio dedicato alle metafore, per iniziare un po’ a parlare, nel bene e nel male, del valore delle metafore in psicologia. E di tanto in tanto lascerò tra queste pagine virtuali qualche metafora, la metafora del giorno o della settimana, diciamo, un modo creativo per lasciare un significativo spunto di riflessione.

Veniamo a noi.

In Psicologia e Psicoterapia sono ormai anni che si valorizza l’utilizzo della narrazione e delle metafore quali strumenti di intervento. Narrare, utilizzare un linguaggio metaforico e insegnare ai pazienti ad utilizzarlo sembra avere un forte valore terapeutico; come dire: l’immaginario quale miglior strumento per ristrutturare un immaginario che non ci aiuta a vivere bene.

In verità la ricerca a cui accennavo lancia un po’ di allarme sulla metafora ed il suo utilizzo, ma in qualche modo conferma la potenza di questo strumento.
Un’équipe di psicologi statunitensi ha voluto indagare sul ruolo delle parole in tema di risposte sociali alla criminalità. E ha scoperto che le metafore, in particolare, hanno davvero il potere di modificare l’orientamento dell’opinione pubblica. Insomma basta cambiar una parola e la gente cambia idea. Lo fa, anche se non se ne rende conto. La ricerca, pubblicata sulla rivista PLoS One è stata condotta da Lera Boroditsky e Paul Thibodeau dell’Università di Stanford, California. «L’uso delle metafore è ormai dilagante - osservano i due psicologi -. Secondo alcune stime, in un discorso ne vengono utilizzate una ogni 25 parole. La metafora non ha dunque solo una funzione ornamentale, ma è fondamentale nel sistema del linguaggio. È impossibile parlare di situazioni complesse senza usarle».

Per provare la loro ipotesi, gli psicologi di Stanford, hanno reclutato in via sperimentale 485 studenti delle Università di Stanford e della California. A loro è stato chiesto di leggere un trafiletto sulla crescita dei tassi di criminalità in una città di fantasia. In metà dei casi, il crimine è stato descritto come una "bestia" e nell’altra come un "virus". I volontari potevano poi scegliere le politiche che ritenevano più adeguate per aumentare la sicurezza: misure dure come l’aumento del personale di polizia e delle carceri, o politiche di recupero e di riforme sociali. Fra gli studenti ai quali il crimine era stato descritto come una bestia il 71% ha scelto le misure forti, mentre la percentuale è scesa al 54% nel gruppo in cui il crimine era descritto come un virus. Oltre alle metafore, il trafiletto riportava anche delle statistiche allarmanti. Una riferiva che erano stati rilevati 10 mila crimini in più nel 2007 rispetto al 2004, mentre il numero degli omicidi era salito da 330 a 500 nello stesso periodo. Ai partecipanti allo studio è stato poi chiesto quale fosse stato l’aspetto che più li aveva influenzati nella decisione. Solo 15 hanno riconosciuto in modo esplicito il ruolo della metafora. Tutti gli altri hanno risposto di aver scelto solo in base ai dati statistici.

Dilagano le spiegazioni scientifiche a riguardo, comunque secondo Marco Alessandro Villamira, docente di Psicologia della comunicazione all’Università Iulm di Milano «Le metafore creano l’ambiente nel quale avvengono o vengono prese le decisioni o le opinioni. Cioè c’è un ambiente che ha inesorabilmente delle regole, dentro le quali si muovono i soggetti. La metafora sta nell’ambiente, cioè crea la situazione in cui soggetti si muovono e in cui utilizzano certe regole di decisione , di comportamento». Un esempio concreto? «Se evoco la parola "bestia", come la vicenda di Yara ci insegna, creo un ambiente che è quello della foresta, selvaggio, dove uccidere è normale. Mentre invece se mi muovo nell’ambito "virus", evoco un ambiente medico, cioè curativo, e quindi la bestiolina non è da uccidere ma si può recuperare». Tra i massimi esponenti di questa teoria, Villamira cita due premi Nobel: Daniel Khaneman, secondo il quale la gente decide in parte a seconda dell’ambiente in cui si trova. E poi Herbert Simon, con la sua teoria della razionalità limitata. «Per Simon - spiega Villamira - non esiste l’uomo razionale. Il più delle volte decidiamo in base a un discorso di razionalità limitata, cioè ci accontentiamo di arrivare dove ci troviamo abbastanza bene a decidere e questo è molto motivato dall’ambiente culturale o linguistico in cui ci troviamo» (Corriere della sera, 7 marzo).

Sempre in tema di metafore, inoltre, secondo uno studio del 2009 pubblicato su BMC Neuroscience dal gruppo coordinato da Alice Mado Proverbio, sembrerebbe che il loro significato sia acquisito in modo acritico dal cervello umano. Nello studio sopracitato erano stati presentate 350 frasi idiomatiche e letterali a studenti universitari il cui compito era stabilire se una parola finale a loro presentata fosse congruente con il contesto precedente. I dati hanno dimostrato come tipi diversi di frasi attivino aree cerebrali in parte diverse. Con l’ausilio di una tomografia elettromagnetica a bassa risoluzione è stato possibile registrare l’attività cerebrale degli studenti e quindi tracciare il tempo impiegato dai processi di elaborazione delle frasi. E’ stato così verificato che la comprensione di frasi letterali coinvolge regioni cerebrali legate ai processi razionali. Nell’esperimento invece le frasi con una metafora facevano registrare una maggiore ampiezza del segnale bioelettrico indicando così una maggiore risonanza o potere persuasivo rispetto al linguaggio non figurato; le metafore attivano zone implicate nella connotazione affettiva degli eventi e nelle emozioni, non coinvolgendo direttamente regioni deputate al controllo cosciente (come il giro frontale inferiore sinistro).

In base ai risultati delle varie ricerche, e a quanto da anni le scienze umane studiano, il linguaggio metaforico ha insomma delle possibilità che altre forme di linguaggio non hanno: persuasione, convincimento, ristrutturazione delle opinioni. E d’altronde, sarà forse per questo che i discorsi dei politici abbondano spesso di metafore. Se questo tipo di considerazioni può far sorgere ovvie esitazioni dal punto di vista etico sull'utilizzo delle metafore, bisogna comunque constatare che al di fuori di quella che possiamo chiamare una manipolazione delle metafore ( in politica, così come in psicoterapia o nella vita quotidiana), cioè di un abuso, c’è un uso delle metafore che può arricchire la vita di ognuno e nei percorsi di psicoterapia può creare fantasiose possibilità di crescita.
Banalizzando il nostro discorso, dire a qualcuno che deve smetterla di non comportarsi in un modo, ha ben un altro impatto dal dirgli “ se continui così, la nave va a fondo”; oppure dire ad una persona che ha ancora speranze, è ben diverso dal dire “ forza, si intravede qualche luce all’orizzonte”. Sia chiaro, non esiste la metafora del miracolo, ma l’impatto che immagini, narrazione e metafore hanno sulla nostra psiche, non è da sottovalutare. D’altronde, ad esempio, in psicoterapia talvolta si utilizza la visualizzazione mentale di immagini, proprio quando si vuole raggiungere un effetto potente, sia che si voglia aiutare il paziente a rilassarsi, sia che si vogliano indurre in lui stati fobici o ansiosi ( negli interventi comportamentali sulle fobie ad esempio). E di contro, in caso di traumi, molto spesso sono proprio le immagini a disturbare la persona, ed occorre liberarsi da quelle immagini per superare la condizione di trauma. Ed ancora, spiegare razionalmente ad un bambino piccolo che mamma e papà non vivono più insieme, ha tutto un altro impatto dal raccontargli una fiaba in cui ad esempio, un cucciolo di orso va a a trovare i suoi genitori che vivono in due posti diversi.
Insomma le parole della nostra vita, soprattutto quelle che hanno una connotazione fantasiosa ed emotiva e rimandano ad un’immagine, sono importanti, molto importanti, e lasciano il segno nella nostra psiche.
Cohen (1979) suggeriva che, uno dei motivi del ricorso umano alle metafore è la "coltivazione dell’intimità". In pratica, sapere di condividere una certa lingua e un certo bagaglio di conoscenze sul mondo contribuisce ad instaurare un’atmosfera d’intimità e di "fiducia reciproca". Il linguaggio metaforico agisce proprio in questo modo creando complicità tra i due interlocutori i quali si accordano nell’utilizzare un termine con un significato straordinario, che non gli è proprio, ma che essi condividono. E questo ci permette di considerare un altro aspetto delle metafore, quello relazionale; la metafora ha un effetto nella relazione e comunicazione con l’altro.
La metafora utilizza affinità, corrispondenze e sostituzioni creando la connessione tra emisferi con un linguaggio raffinato, figurato, retorico, allusivo e significante.
Come troviamo in Giusti, Ciotta ( 2005) la psiche si organizza tramite immagini condensate e si ri-orienta attraverso una costante interazione tra codice analogico e codice simbolico per cui la narrazione metaforica è uno strumento trasformativo potente e immediato, che se utilizzato nei contesti psicoeducativi e in ambito clinico può mobilitare le risorse soggettive.
Le metafore, laddove non se ne voglia fare un abuso, costituiscono un interessante mix di linguaggio visivo e parlato poi, come cito in fondo alla pagina di questo blog, si sa: “un bastone può servire al battitore per colpire la palla che il lanciatore gli lancia in una partita di baseball, ma lo stesso bastone può servire a qualcun altro per rompere la faccia di un amico”.

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