martedì 16 ottobre 2012

Su e giù tra “salite e discese” della mente ovvero del viaggio in ascensore

Sarà che una delle prime situazioni in cui si è sentita la necessità di una attrezzatura idonea a trasportare in verticale uomini e materiali è quella delle miniere, sarà che da sempre l’uomo ha sentito il bisogno sia di alleviare le proprie fatiche che di andare oltre i propri limiti, pagandone poi il prezzo, l’ascensore è comuqnue legato nell’immaginario collettivo a vissuti non sempre positivi anzi, spesso, ansiosi e catastrofici. L'ascensore, come oggi è conosciuto, fu progettato da un inventore americano, Elisha Otis, che nel 1853 depositò il brevetto di un sistema di sicurezza paracadute, destinato ad impedire la caduta violenta della cabina in caso di guasti o rotture ai cavi. La prima applicazione pratica si ebbe nel 1857 a New York e, negli anni successivi, altri famosi ingegneri lo perfezionarono con l'adozione di circuiti idraulici e con l'invenzione dell'ascensore elettrico, fatta risalire al 1880 in Germania da parte di Werner von Siemens. Una delle prime spettacolari applicazioni della nuova invenzione fu quella vista nel 1889 in Francia in occasione della presentazione della Tour Eiffel a Parigi. Le tappe più importanti nell'evoluzione dell'ascensore possono essere considerate quelle dell'abolizione del manovratore, datata 1924, e successivamente l'introduzione delle porte ad apertura automatica al posto di quelle manuali. Al di là di questi cenni storici e delle successive evoluzioni che riguardano questo mezzo di trasporto, ad oggi definibile come il mezzo di trasporto più usato del mondo, tutti ci saliamo a bordo, molti di noi lo fanno ogni giorno, più volte al giorno. Eppure, appena entrati, molti danno l'impressione di non vedere l'ora di uscirne. La settimana scorsa La Repubblica ha pubblicato un interessante articolo, in riferimento ad alcune ricerche che vengono dall’America. Non c’è bisogno di leggere studi e ricerche per sapere che solitamente si entra in ascensore e si aspetta solitamente taciturni, imbarazzati, preoccupati o annoiati, che la corsa finisca, ma come evidenzia il professor Lee Gray della University of North Carolina, soprannominato "the Elevator Guy" (il Signor Ascensore), l’ascensore è un luogo interessante dal punto di vista sociologico che sembra principalmente responsabile di reazioni ansiose di due tipi principalmente. La prima è una variante della claustrofobia: manca il respiro, ci si sente ansiosi nel ritrovarsi in un ambiente ristretto, per di più in movimento e senza nessuno visibilmente alla guida, manovrato da cavi, corde, pulegge, pompe idrauliche, di cui si conosce la presenza ma che non si possono vedere. La seconda paura è legata alla violazione del proprio spazio vitale: nella stragrande maggioranza delle situazioni sociali, ci troviamo sempre a un braccio di distanza dalla persona che ci è più vicina. In ascensore la distanza può ridursi sino a scomparire. E così pare che entrando in ascensore tendiamo a disporci secondo uno schema pressoché sempre uguale: due passeggeri si mettono agli angoli opposti, se ne arriva un terzo si forma un triangolo, un quarto dà origine a un quadrato, il quinto si mette nel mezzo. La maggior parte di noi, così disposti, passa il tempo della salita o della discesa guardando in basso, in alto, fissando la parete o l'orologio o il telefonino, evitando di guardare il prossimo negli occhi. Insomma una parte di noi sviluppa anche sintomi fisici come tachicardia, senso di soffocamento ecc., un’altra parte di noi avverte un disagio più o meno forte e ovviamente non vede l’ora di mettervi fine uscendo dall’ascensore. Ho voluto riportare queste notizie in questo blog perché in fin dei conti l’ascensore è una di quelle situazioni che mi ha sempre incuriosito a livello di comportamento umano: qualche piano in ascensore e diveniamo “piccoli, piccoli”, schiavi delle nostre paure e dei nostri disagi. Ovviamente, salvo che la cosa non diventi di ostacolo e finchè resta nei margini di un piccolo disagio, quindi non invalidante e di ostacolo nella vita quotidiana, non credo che tutti coloro che avvertono disagio dovrebbero risolverlo con un trattamento psicologico, in fin dei conti sperimentare un po’ di disagio è il modo migliore per imparare a metabolizzarlo; piuttosto chi di solito ha serie problematiche di ansia ha bisogno di affrontarle e tra queste dovrà affrontare anche la sua claustrofobia.. Per me il focus di questo post non voleva essere comunque quello dei trattamenti e della claustrofobia (mi riservo di dare informazioni a riguardo qualora ne venisse richiesta) per me il punto è una riflessione più ampia: -non possiamo avere tutto sotto controllo; -se qualche piano in salita o in discesa può far crollare la nostra tranquillità e se un semplice incontro “troppo ravvicinato” amplifica una nostra sensazione di disagio, è necessario riflettere su quali siano i nostri limiti di essere umani; -arrivare fin sotto terra, arrivare sempre più in alto vicino al cielo, con una velocità sempre maggiore, in spazi sempre più ristretti o ampi per contenere però sempre più gente, siamo sicuri che sia una dimensione umana? Ma da quest’ultimo punto ne verrebbe una riflessione più approfondita sull’urbanizzazione (selvaggia) e i nuovi mezzi, di trasporto, tecnologici, ecc. Ed è tutto un altro discorso, un altro post! Più che altro, provocatoriamente, mi verrebbe da dire, per chiudere questo post, che quando vogliamo fare i conti con noi stessi, quando vogliamo riflettere su quanto sia potente e misera al contempo la natura umana o su quanto nelle relazioni abbiamo bisogno del giusto spazio, fisico e mentale, facciamoci un giro in ascensore, potrebbe essere chiarificatore! Ma questo più che un suggerimento terapeutico potrebbe risultare un suggerimento sadico e implosivo, soprattutto per alcuni.. Facciamo così: meglio farsi un giro all’aperto, a contatto con la natura, pensando che in fin dei conti senza l’ambiente, senza gli altri, non siamo poi così forti, soprattutto nello spazio ristretto di un’ascensore!

3 commenti:

  1. Bell'articolo! complimenti!
    Mi ero sempre chiesto quali fossero le logiche di disposizione all'interno degli ascensori e mi hai aperto un mondo! Ma per caso hai notato che invece all'estero è diverso?

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  2. Dunque, la ricerca a cui faccio riferimento viene dall'America..quindi.. In genere certi comportamenti sono universali, ma può essere che su quale sia ritenuta la distanza sociale accettabile, ad esempio,esistano delle influenze culturali a seconda della cultura di appartenenza...Se saprò di più ti farò sapere! Felice di averti aperto un mondo, quello dell'ascensore! :-9

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  3. Ottimo, io avevo letto (da qualche parte...potrei essermelo immaginato) che in altri paesi il posizionamento in ascensore fosse diverso! Probabile che io mi sbagli!

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